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36.000 palestinesi rischiano la fame grazie al Movimento BDS

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La campagna di boicottaggio delle aziende israeliane che operano in Cisgiordania voluta dal Movimento BDS rischia di gettare in miseria 36.000 operai palestinesi che lavorano nelle aziende israeliane in Cisgiordania. Questo è il dato che emerge da una recente ricerca sui danni provocati all’economia israeliana e palestinese dal Movimento BDS.

Più che danneggiare le aziende israeliane l’operazione di boicottaggio del Movimento BDS, alla quale si è accodata l’Unione Europea, sta danneggiando pesantemente i palestinesi che lavorano nelle aziende israeliane in Cisgiordania dalle quali percepiscono uno stipendio tre volte superiore di quello che percepirebbero lavorando per una azienda palestinese. Lo spostamento di diverse aziende israeliane dalla Cisgiordania al centro di Israele ha già provocato il licenziamento di oltre 3.500 lavoratori palestinesi che oggi si ritrovano senza stipendio e senza alcun sostegno da parte della ANP. Ma ancora non è niente in confronto a quello che che si sta prospettando. Secondo dati aggiornati ottenuti dal Ministero degli Interni israeliano attualmente nelle aziende israeliane in Cisgiordania lavorano oltre 42.000 operai palestinesi, di questi almeno 36.000 lavorano in aziende che stanno valutando la possibilità di trasferirsi al centro di Israele e quindi rischiano il posto. Per l’economia palestinese sarebbe un vero tracollo.

La Aluminum Construction ha due stabilimenti per la lavorazione dell’alluminio a Ma’ale Adumim, vicino a Gerusalemme. Nei due impianti lavorano oltre 400 operai palestinesi contro appena 150 operai israeliani. A causa della combinazione tra recessione e boicottaggio del Movimento BDS la dirigenza sta decidendo in questi giorni se trasferire la produzione al centro di Israele usufruendo anche degli incentivi governativi. Se ciò avvenisse oltre 400 famiglie palestinesi non avrebbero più di che sostenersi.

Di “grave dilemma” parla Shaher Saed, segretario Generale dell’Unione dei Lavoratori Palestinesi, il quale in un colloqui con alcuni giornalisti ammette che circa 36.000 lavoratori palestinesi rischiano seriamente di rimanere senza lavoro anche se afferma di sostenere convintamente le azioni del Movimento BDS in quanto «il lavoro per gli israeliani favorisce l’occupazione illegale». Tuttavia ammette di trovarsi «di fronte a un grave dilemma» quando guarda ai numeri dei palestinesi che hanno già perso il lavoro o che lo perderanno e alle nefaste conseguenze che ne potrebbero derivare per l’economia palestinese. «Un operaio palestinese che lavora per un israeliano guadagna circa tre volte di più di quanto guadagnerebbe se lavorasse per un palestinese. Il lavoro è sicuro e i Diritti garantiti. E’ difficile rinunciare a tutto questo anche se bisogna farlo per la Nazione della Palestina». Shaher Saed tocca anche l’argomento dell’indotto, cioè di tutte quelle aziende palestinesi che lavorano per le aziende israeliane. Se queste ultime si trasferiranno anche l’indotto ne risentirà e ai 36.000 palestinesi che rimarranno senza lavoro si potrebbero aggiungere altre migliaia di operai che lavorano nell’indotto.

Un caso eclatante e di immediata attualità è quello che riguarda la Barkan, azienda israeliana che opera vicino all’insediamento di Ariel e che – compreso l’indotto – occupa circa 5.000 operai palestinesi. Ebbene, come a suo tempo la Soda Stream, la Barkan è stata particolarmente presa di mirra dal Movimento BDS e adesso sta seriamente valutando di trasferire le sue attività produttive fuori dalla Cisgiordania. Sebbene la dirigenza della grande azienda israeliana tranquillizzi tutti la possibilità che, magari in maniera graduale, le attività vengano trasferite al centro di Israele è fortissima. In ogni caso il Direttore delle esportazioni della Barkan, Moshe Lev-Ran, sconsiglia vivamente agli imprenditori israeliani di aprire attività in Cisgiordania per «non avere inutili mal di testa».

Concludendo, sono 36.000 gli operai palestinesi che lavorano in aziende israeliane localizzate in Cisgiordania che ad oggi rischiano seriamente di perdere il lavoro, 36.000 famiglie palestinesi che grazie al Movimento BDS e alla decisione della Unione Europea di etichettare i prodotti israeliani provenienti dalla West Bank rischiano di non avere più alcun sostentamento. Non c’è che dire, proprio un bel risultato.

Scritto da Lila C. Ashuryan

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